“Il mio turno inizia alle 7 del mattino ma oggi, come avviene ormai da tempo, non so a che ora terminerà, dal momento che l’emergenza sanitaria dovuta al coronavirus ha stravolto i ritmi ai quali eravamo normalmente abituati”. A parlare è una volontaria della Croce Rossa di Vigevano, al suo ingresso nella sede di via Cavour, un luogo dal quale partono non solo le ambulanze ma anche gli altri mezzi di supporto alle necessità della popolazione di questa città che, nell’ambito della provincia di Pavia, è una della città più colpite dal Covid-19.
La comparsa della malattia abbia modificato la vita della città e, di conseguenza, anche le attività della Croce Rossa locale.
“Al mio arrivo al mattino, l’aria sonnolenta del turno di notte con i suoi tempi meno scadenzati aleggia ancora nei locali, ma il momento di pace apparente è destinato a scomparire molto in fretta. In queste settimane il giorno e la notte spesso si fondono, durante le ore di maggiore calma vengono pianificate tutte le attività e gli interventi di supporto alla popolazione della giornata, cercando di non lasciare nulla al caso. Ma si sa, in emergenza questo spesso è impossibile.
Le attività riprendono frenetiche al risvegliarsi della città con ritmi e ruoli che, all’interno della nostra associazione, si sono adattati all’attuale epidemia: i volontari agiscono in maniera versatile a seconda delle necessità del momento; un rapido sguardo al programma della giornata e siamo già operativi, sempre disponibili ad affrontare gli imprevisti che, inevitabilmente, si presenteranno con il passare delle ore. Il telefono squilla incessantemente, perciò abbiamo attivato un numero maggiore di linee interne per venire incontro alle mutate esigenze della popolazione. Queste vanno dall’emergenza urgenza, gestita tramite il 112, al trasporto dei malati da e per gli ospedali della città, al trasporto dei tamponi al policlinico di Pavia per la diagnosi di Covid-19. Ma ci sono, anche, linee speciali dedicate agli anziani e ai soggetti fragili che, al momento, non possono uscire di casa in quanto troppo esposti al rischio di contagio e per i quali andiamo a fare la spesa e ad acquistare i farmaci. Hanno spesso anche solo bisogno di una parola di conforto, di una voce amica che dia loro la possibilità di parlare con qualcuno.
Ogni giornata è unica, ricca di momenti di tensione, paure, grande coinvolgimento emotivo. Ieri, poco dopo l’arrivo in sede, esco con la squadra per il primo servizio della giornata, peraltro già programmato da tempo: il trasporto di un malato che deve sottoporsi a degli esami di controllo che nonostante la situazione particolare, non possono essere rinviati. La discesa dalle scale con la barella è resa difficoltosa per la particolare conformazione dell’abitazione, si devono chiedere dei rinforzi. E’ necessario l’aiuto di un volontario aggiuntivo ed ecco, in sede c’è subito qualcuno che si rende disponibile, cosa che in altri momenti avverrebbe sicuramente con più difficoltà. I tempi del servizio, però, ovviamente, si allungano e si rischia di ritardare le altre missioni che dobbiamo affrontare nel corso della mattinata. Nel programma è prevista la dimissione di una signora che però ha ancora la febbre: ai tempi del coronavirus questo cambia decisamente tutti i protocolli standard. E’ necessario infatti l’utilizzo di tutti i DPI (dispositivi di protezione individuale) necessari a non esporci al rischio di contagio. Indossiamo la tuta bianca, con mascherina, occhiali, visiera, guanti e copriscarpe e ripartiamo per il servizio, per portare finalmente la persona a casa, dai propri affetti.
La mattina prosegue frenetica: rientrati in sede, mi occupo di un’attività completamente diversa, in quanto ci è pervenuta la richiesta, da parte dei familiari di una persona ricoverata nel reparto Covid, di portare indumenti puliti di ricambio in ospedale, dal momento che nessuno dei parenti può uscire e tutte le visite in ospedale sono limitate. C’è, inoltre, una signora molto anziana che non vede il marito da quasi un mese; è anche lui malato, positivo al virus e ricoverato nello stesso ospedale. Riusciamo ad accontentare entrambe le famiglie, nel primo caso in maniera molto semplice, nel secondo caso solo grazie all’intervento di una azienda privata che, con una donazione, ci ha messo a disposizione un certo numero di tablet per questo genere di situazioni, dove il supporto sociale prevale decisamente su quello pratico. Uno strumento tanto comune quanto fondamentale per mettere in contatto a distanza famigliari con una semplice videochiamata.
Un’altra donazione molto ben gradita e di tipo completamente diverso arriva, invece, per pranzo, come spesso accade in queste ultime settimane: una pizzeria della città ha offerto il pranzo a tutti i volontari presenti in sede. Così, mentre ci apprestiamo a mangiare, rigorosamente a distanza di sicurezza gli uni dagli altri, e ci rilassiamo in attesa delle attività del pomeriggio, suona l’allarme del 118. I ragazzi della squadra lasciano la saletta ristoro e vanno a indossare le tute bianche e le altre attrezzature antivirus, visto che è stato richiesto il soccorso per un malato i cui sintomi sono facilmente riconducibili all’infezione dal coronavirus.
Potrà apparire esagerato questo continuo riferimento all’epidemia in corso, ma quello che vi sto descrivendo corrisponde esattamente alla realtà. Le normali attività sanitarie degli ospedali sono praticamente bloccate, si eseguono ormai quasi esclusivamente gli interventi d’emergenza e le terapie salvavita; l’intero comparto della salute ruota di fatto, anche se non esclusivamente, attorno all’emergenza coronavirus.
Suona di nuovo il telefono. Questa volta chiama la signora Flavia. Ha 70 anni e ha necessità di ritirare un farmaco con abbastanza urgenza al Policlinico di Pavia. So che avevo promesso alla mia famiglia di tornare a casa nel pomeriggio, ma ancora una volta la passione con cui prestiamo la nostra attività prende il sopravvento: come dire di no a qualcuno in questo particolare momento di caos?
Prendo una macchina, vado a Pavia, ritiro il farmaco e lo consegno. La signora Flavia apre la porta in modo appena sufficiente a far uscire una piccola torta al cioccolato che ci ha preparato per ringraziarci. Ecco l’affetto più semplice delle persone, è ciò che ogni volta ci da la carica per continuare in questa battaglia.
Rientro in sede alle 18.30. Incontro i ragazzi che hanno prestato servizio nella tenda di pre-triage davanti al Pronto Soccorso. La giornata inizia a rallentare, ma è il momento di mettere mano al piano del giorno dopo. Perché la battaglia non l’abbiamo ancora vinta!